Sei artisti dell’isola d’Ischia

Galleria l’Agostiniana, Roma

18/01/1992 - 28/01/1992


mostra gallery testi critici catalogo

L’inquietudine della irrappresentabilità e l’erotismo della materia

Michele Buonuomo

lunedì 2 dicembre 1991

L’inquietudine della irrappresentabilità e l’erotismo della materia 

È nel piacere dello sguardo che la pittura di Gabriele Mattera trova il senso più completo, più intricato di un fare silenzioso, enigmatico, chiuso a dichiarazioni, che – troppo spesso – si esauriscono nel loro semplice enunciato. Parafrasando Roland Barthes, si può affermare che il piacere dello sguardo è una chance di novità. Forse una delle ultime a noi concesse – per continuare a battere il territorio della pittura, per altre vie sempre più impervio e desolante.

Il piacere dello sguardo permette da un lato di unificare il piacere del dipingere e il piacere del vedere; dall’altro, il concetto di piacere non serve a verificare una sorta di valore estetico: non si tratta infatti di contemplare un’opera, né di proiettarvisi, né oggetto lo è in senso puramente psicoanalitico: non c’è erotica senza oggetto. Nel caso della pittura di Mattera, allora, il piacere dello sguardo, prim’ancora di appartenere agli altri, appartiene al pittore stesso: Mattera infatti è capace, come pochi altri di fronteggiare la superficie di una tela senza falsi pudori o eccessive aggressioni.

Mattera conosce a fondo l’arte della seduzione per non lasciarsi intimorire dal silenzio della tela, dal mormorio dei segni, dagli urli ottusi dei colori: sa guardare negli  occhi la pittura e sa confondersi con essa. In questo sottile gioco di sguardi non c’è spazio per banali compiacimenti, né tantomeno per dimostrazioni (culturiste) della pittura: il fare – il saper fare – non è un gesto separato da un saper veder e un saper pensare che, nel suo caso, hanno radici ben piantate nel rigore e nella storia.

Mattera in questi ultimi tempi si confronta con un opera sempre più essenzializzata, sempre più – cioè – ridotta ad una primarietà fatta solo di superfici cromatiche che scandiscono, volta per volta, visioni, emozioni, dichiarazioni (senza parole), stati d’animo. Gli elementi di figurazione non appartengono più ad una sfera naturalistica; o meglio, se ancora la rappresentazione mette in mostra brandelli (iconici), non c’è spazio per facili mimetismi.

La figura umana, ancora tutta densa di materia e di pathos metaforico nella serie dei Bagnanti, è scomparsa del tutto: la scena si è essenzializzata in un vuoto in cui solo i contrasti estremi hanno diritto ad esistere. Il passaggio dal buio alla luce è scandito dalla presenza inquietante di una sorta di grande telo che dimensiona sguardi e stati d’animo, superfici e spazio, colore e non colore, materia e forma. E così, gli orizzonti estesissimi del silenzio, di quei paesaggi di confine che in tante opere sono stati la cifra di riconoscibilità della pittura di Mattera, oggi sono stati spezzati da una «Tenda» che chiude lo sguardi: la (fuga) all’infinito è nascosta, contenuta, forse inesistente – da sudario che prevede quiete.

Alla malinconia di un punto di fuga inafferrabile, Mattera ha sostituito l’inquietudine della irrappresentabilità e l’erotismo della materia. Siamo arrivati ad un punto della modernità in cui – ci suggerisce ancora Roland Barthes – è molto difficile accettare innocentemente l’idea di un’opera di finzione: le nostre opere sono ormai opere di linguaggio: la finzione può passarvi presa di striscio, indirettamente presente.

 

 

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