Gabriele Mattera, Uomini in rosso

Istituto di Cultura francese Le Grenoble - Napoli

16/10/2003 - 04/11/2003


mostra gallery testi critici catalogo

Figure in rosso: metafore della condizione umana

Marco Lorandi

giovedì 2 ottobre 2003

 Figure in rosso: metafore della condizione umana

 

 

La recente esposizione di Gabriele Mattera, tuttora in corso presso la Torre di Guevara di Ischia (detta di Michelangelo) che alza la sua potenza massiva sull’alto destro dell’insenatura del castello Aragonese, riconferma, se ancora ce ne fosse bisogno, l’eletta qualità e la pienezza espressiva dell’opera pittorica di Mattera, la sua straordinaria capacità di promuovere non solo «i moti dell’anima», ma di comunicare una riflessione filosofica profonda, acuta e penetrante per la quale possiamo spendere, non banalmente, il termine di capolavoro e culmine di un esito pittorico sublime.

«Gli uomini in rosso», la loro collocazione silente, il loro stare fissi di «standing figure» come avevo scritto nel saggio di presentazione alla personale del 1999 presso la galleria EloArt di Forio, promuove una sorta di ritrattistica «anomala», che affiora, talvolta quasi impercettibile, in specie nelle opere ultime, qui presentate degli anni 2001-2003, sopra fondali rossi che sostanziano la figura umana, assisa e frontale ma anche il loro spazio, il loro tempo e il loro «hic et nunc». E sono tali da suscitare in noi un einfühlung, un’empatia di una particolare eccitazione psichica, di un «trasporto» di sentimento evocato, non conclamato e, tuttavia, persistente, indelebile dentro la variazione cromatica di toni sfumati, di rossi caldi e graduati che ora si addensano ora svaniscono ora riprendono il fluire di un vitalismo mesto. Si potrebbe dire che nel momento del loro apparire, sono, in quanto essenze, fuori dalla temporalità precaria, per essere, per non morire, dove «la rarefazione del segno è così acuta da suggerire l’impronta umana senza rappresentarla» (1999). Perché ci affascinano? Perché di fronte a questi dipinti rimaniamo colpiti e ci soffermiamo a dialogare con essi? In che modo? Con quale forza d’incantesimo?

Le fisiognomiche dei volti e dei corpi, appena tracciati sono sufficienti ad indicare non tanto il senso della materia, quanto le loro impronte umane, rilevate da brevi segni, di neri, di verdi scuri quali rimanenze e sintomi di un percorso che è stato superato dalla semplificazione e dalla essenzialità fin quasi alla nullificazione dell’identità fisica. La dominante del rosso e delle sue notazioni coloristiche differenziate (di tono sopra tono, si diceva un tempo) è il risultato di una «trasmutazione» ultima di un processo evolutivo di decantazione e anche di «purificazione» formale e cromatica rispetto alle opere giovanili (il ciclo dei «pescatori» e quello delle «bagnanti») che approda ad una dimensione mercuriale nel senso di un impiego del pigmento rosso (il mercurio quale simbolo dell’oro, o meglio l’elemento chimico capace di fondere l’oro), di una sostanza che ha un’analogia simbolica con la natura del sangue, quando sgorga, che si effonde e si mescola con altro sangue e altre linfe; è come se la dimensione grande dei teleri di Mattera accentuasse questo andamento calmo, lento di una «effisio sanguinis» che non è drammatizzazione del dolore o del sacrificio umano, bensì fluenza, o meglio, la dilatazione di una vis vitale (quella del sangue appunto, condizione primaria dell’esistere biologico) cadenzata da un ritmo nostalgico, perfino di tenerezza melanconica. Questa può infatti alludere alla condizione del trapasso: dal vertice raggiunto (la rubedo, il rosso al culmine del processo trasformativi alchemico) al ritorno all’origine e alla rinascita di un nuovo e successivo ciclo creativo.

L’umanità del sangue ha il suo parallelo nella mercurialità del rosso, che tuttavia non ribolle, non si agita, non esalta la violenza e agita le vendette, bensì agisce, commovente e silenziosa ricordando a tutti, nella quiete del suo sgorgare, il principio delle vita dal suo nascere al suo spegnersi e poi, nuovamente alla sua palingenesi.

La poetica di Mattera è all’opposto di quella del grido munchiano sulla disperazione della condizione umana, anzi, al tumulto, al baccano e alla volgarità della società contemporanea l’artista propone la pittura quale luogo della meditazione, del silenzio, della riflessione sui concetti fondamentali dell’esistere: essere per testimoniare.

 

Bastia di San Virgilio, 2 ottobre 2003

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